TheyMetJesus
 

MOMENTO DI ETERNITA'
L'INIZIO DEL VIAGGIO
Ian McCormack
Parte 1
Foto di Ian raccolta, testo in lingua italiana

Era il 1980, avevo 24 anni quando ho vissuto un'avventura che avrebbe segnato una svolta decisiva nella mia vita. Avevo messo dei soldi da parte e, insieme al mio migliore amico mi lanciai in un safari di surf, una lunga vacanza senza limiti di tempo...
Facciamo però un passo indietro:sono nato e cresciuto in Nuova Zelanda. I miei genitori erano insegnanti di scuola e per questo motivo spesso cambiavamo città. Avevo due fratelli e insieme potevamo godere del privilegio di passare le vacanze al mare.
Laureato in scienze agricole all'università di Lincoln ho poi lavorato per due anni come consulente in un'azienda agricola per la commissione dei prodotti caseari del paese.
Mi piaceva la vita della fattoria e lavorare all'aperto. Passavo la maggior parte dei fine settimana a fare immersioni, surf, passeggiate e molti altri tipi di sport.
Conclusi i due anni di lavoro, avevo sentito il desiderio di viaggiare.
Con il mio amico iniziai a percorrere varie spiagge dell'Australia fino a Darwin per poi proseguire verso Bali in Indonesia e Java.
In oriente spesso le persone mi chiedevano se ero cristiano. Questa domanda era per me una sfida, perché sono cresciuto in una famiglia cristiana, ma non avevo mai avuto un'esperienza personale con Dio. Una volta, mia madre, alla quale chiesi se Dio le avesse mai parlato personalmente, mi rispose che aveva gridato a Lui nel momento di una tragedia e Lui le aveva parlato. Poi continuò dicendo : "Spesso ci vuole una tragedia che ci umilia per volgerci a Dio. Gli esseri umani per natura tendono ad essere orgogliosi. Non ti forzerò a venire in chiesa, ma ricorda: qualsiasi cosa farai nella vita, dovunque tu andrai, non importa quanto lontano da Dio pensi di essere arrivato, se sei nei guai e hai bisogno di aiuto, grida a Lui dal tuo cuore e ti ascolterà e perdonerà."
Mi ricordavo sempre di quelle parole, che rimasero impresse nella mia mente. Ma io decisi di non voler essere ipocrita. Non sarei andato in una chiesa dal momento che non avevo avuto un'esperienza personale con Dio. Per me andare in chiesa era solo una pratica formale.
Ritorniamo al mio viaggio: proseguii verso Singapore, l'isola di Tiomen, Malesia, Colombo, Shri Lanka e infine le isole Mauritius, dove vissi nella Baia di Tabarin tra i pescatori creoli del posto e i ragazzi che facevano surf. La marijuana creava tra noi un legame comune, mi accettarono nella loro cerchia e m'insegnarono a fare immersioni notturne sulla barriera corallina.
Queste immersioni erano esperienze incredibili. I pesci vanno a dormire di notte e dovevamo solo decidere quali prendere per cena. Era uno sport fantastico e in più vendevamo il nostro pescato agli hotel turistici del posto.
Ad un certo punto mi ritrovai con pochi soldi, quindi mi diressi in Sudafrica, dove guadagnai insegnando windsurf e sci nautico. I miei piani furono interrotti dalla notizia dell'imminente matrimonio di mio fratello. Così decisi di ritornare in Australia passando di nuovo per l'arcipelago delle Mauritius.
Era ormai il mese di marzo del 1982 e avevo viaggiato per due anni interi, spesso dormendo in tende o sulle spiagge e vivendo come un nomade. Era tempo di ritornare a casa.


LA 'MEDUSA SCATOLA'
'Nel Tuo libro erano tutti scritti i giorni che mi erano destinati, quando nessuno d'essi era sorto ancora.' (Salmo 139:16).
Ritornato alle Mauritius per poche settimane, mi ricongiunsi ai miei amici creoli e passavo le giornate a fare surf e immersioni notturne. Una sera, una settimana prima del mio rientro in Nuova Zelanda, il mio amico di pesca Simon ed io decidemmo di uscire per una immersione, nonostante ci fosse un forte temporale all'orizzonte. I fulmini bianchi illuminavano il cielo scuro. Avevo paura che la corrente ci sbattesse contro la barriera corallina e diventasse pericolosa. Lui mi rassicurò dicendo: "Andrà tutto bene, ci sposteremo solo di cinque miglia lungo la costa, verso una parte della barriera molto bella. Sarai sorpreso dalla sua bellezza." Erano le 11 di notte. Insieme ad un altro giovane e ad un ragazzino, che portava la barca, navigammo fino al punto esatto di cui aveva parlato Simon. Ancorammo la barca nella laguna interna. Dovevamo immergerci nella parte esterna della barriera che scende profondamente nell'oceano.
Era veramente stupendo!
Ci immergemmo. Io mi fermai nella parte alta della barriera mentre i miei due amici andarono più in profondità. Normalmente rimanevamo sempre insieme, ma per qualche ragione ci separammo. Stavo cercando degli astici, quando la mia torcia illuminò una strana creatura marina nell'acqua buia. Somigliava ad un calamaro.
Incuriosito, nuotai verso questa creatura e, allungando la mano, la toccai. Indossavo i guanti da sub ed ebbi l'impressione di aver toccato una medusa. Mentre si allontanava, la guardai interessato perché sembrava davvero uno strano tipo di medusa.
Aveva la testa a forma di scatola e degli insoliti tentacoli trasparenti ed io non ne avevo mai visto prima di quel genere.
Mi voltai e continuai la ricerca di astici.
Improvvisamente qualcosa mi toccò l'avambraccio dandomi una scarica elettrica con la forza di un migliaio di volt. Indossavo una tuta da sub senza maniche e l'unica parte del corpo scoperta, erano gli avambracci. Guardai il mio braccio per vedere se ci fosse del sangue, ma non c'era niente, solo un forte dolore. Lo strofinai, il che era la cosa peggiore da fare, in quanto ciò aiutò a diffondere il veleno nel mio corpo. Il braccio iniziò ad intorpidirsi, ma non volevo entrare in panico e continuai a cercare altri astici. Voltandomi mi trovai faccia a faccia con altre due meduse come quella che avevo visto poco prima. Con la coda dell'occhio notai che i loro tentacoli stavano per sfiorare il mio braccio. Fui di nuovo colpito dalla stessa scarica elettrica.
A quel punto capii cosa era successo. Avevo imparato al corso di sopravvivenza che alcune meduse sono incredibilmente velenose.
Così salii in superficie e cercai la barca. Nuotando verso di essa, sentii qualcosa scivolarmi sulla schiena e avvertii una terza scarica. Illuminai l'acqua sotto di me e con grande orrore mi resi conto di essere finito dentro un branco di meduse.
Pensai che se una di esse mi avesse colpito in faccia, non ce l'avrei fatta.
Vidi in lontananza il mio amico Simon e, per attirare la sua attenzione, gli puntai contro la torcia. Lui affiorò e gli dissi che volevo uscire. A quel punto vidi davanti a me la sagoma di un'altra medusa. Potei solo scegliere di spingerla con il braccio in modo da allontanarla dalla mia faccia. Così, ricevetti una quarta scarica. Raggiunsi la barriera corallina con mio amico Simon, che mi chiese cosa fosse successo. Mentre gli esponevo il mio racconto potei capire dall'espressione della sua faccia la gravità della situazione. "Solo una puntura e sei morto! Tu ne hai ricevute quattro. Devi andare all'ospedale velocemente!". L'ospedale principale era lontano quindici miglia, era notte fonda ed eravamo a mezzo miglio dalla costa.
Mi trascinò verso la barca e io mi resi conto che il braccio destro era gonfio come un pallone e completamente paralizzato. Nel frattempo una quinta medusa colpì di nuovo il mio braccio.
Poi i miei amici spinsero la scialuppa nella laguna, ma preferirono non venire con me per renderla più leggera.
Il ragazzino quindi si mise a muovere l'imbarcazione aiutandosi con una pertica.
Mi sembrava di andare a fuoco.
Potevo sentire il veleno fluire nelle vene e avvertivo che anche le ghiandole linfatiche sotto il braccio si stavano gonfiando.
Con il polmone destro respiravo a fatica.
La muta da sub cominciava a soffocarmi così, mentre potevo ancora muovermi, riuscii a toglierla e a indossare i pantaloni. Anche la gamba destra ora iniziava ad intorpidirsi e pensai che se il veleno fosse arrivato al cuore o al cervello, sarebbe stata la fine.
Mentre ci avvicinavamo alla riva, anche la vista iniziava ad annebbiarsi.
Una volta a riva il ragazzino dovette aiutarmi per scendere.
Mi condusse fino al ciglio della strada ed io mi afferravo a lui. Era mezzanotte e non c'era anima viva. Come avrei fatto a raggiungere l'ospedale?
Poi il giovinetto, indicandomi i suoi fratelli rimasti in mare, mi disse spaventato che doveva tornare a prenderli. Mi lasciò solo e tornò verso la barca. A questo punto ogni speranza che era in me si estinse.
Mi sdraiai a terra per riposare...

LA PROVA DI RESISTENZA
'Quando lo spirito mio è abbattuto in me, tu conosci il mio sentiero. Sulla via per la quale io cammino, essi hanno teso un laccio per me. Guarda alla mia destra e vedi; non c'è nessuno che mi riconosca. Ogni rifugio mi è venuto a mancare; nessuno si prende cura dell'anima mia.' (Salmo 142:4-5).
Fui sopraffatto dalla stanchezza. Stavo per chiudere gli occhi quando sentii una voce parlarmi in modo chiaro: "Ian, se chiudi gli occhi ora non ti sveglierai mai più".
Mi guardai intorno aspettandomi di vedere qualcuno in piedi vicino a me, ma non vidi nessuno. Questo mi sorprese e mi aiutò a cacciare via la sonnolenza. Mi rialzai e, trascinandomi penosamente, raggiunsi un distributore di benzina dove erano parcheggiati due taxi. Chiesi agli autisti di portarmi all'ospedale. Loro mi domandarono quanto potevo pagare. "Non ho soldi!" Dissi. Poi mi resi conto della stupidità della mia risposta. Avrei potuto mentire, ma dissi la verità. Così loro mi risposero che ero pazzo e ubriaco. Si voltarono accendendosi una sigaretta. Sentii di nuovo la voce che mi diceva: "Ian, sei disposto ad implorare per la tua vita?". Certo che lo ero. Così mi misi in ginocchio e li implorai di condurmi all'ospedale. Uno di loro, mosso da compassione, mi raccolse, mi mise nella macchina e partì. Però a metà strada cambiò idea.
Mi chiese in quale hotel vivessi e come avrebbe fatto a ricevere i suoi soldi.
Gli risposi di non preoccuparsi, che gli avrei dato tutti i soldi che voleva se mi portava all'ospedale. Non mi credette. Mi portò verso un grande hotel turisticoo dicendomi che non avrebbe continuato la corsa.
Mi chiese di uscire, ma non riuscivo a muovermi. A quel punto aprì la portiera della macchina e con una spinta mi buttò fuori. Giacevo in terra pieno di disgusto per il mondo in cui vivevo. Era facile a quel punto lasciarsi andare; ma mi ricordai di mio nonno. Aveva combattuto in due guerre mondiali ed era stato anche in Africa contro Rommel. Lui era sopravvissuto, ma ecco qui suo nipote sul punto di morire per la puntura di cinque miserevoli meduse. Decisi allora che avrei combattuto fino all'ultimo respiro. Proprio in quel momento sentii dei passi avvicinarsi. Mi voltai, era il mio amico Daniel, mio compagno di bevute, un uomo scuro di carnagione e molto amabile. Mi chiese cosa fosse successo e gli mostrai il braccio pieno di ustioni. Mi raccolse e mi portò dentro l'hotel facendomi sedere su una sedia di paglia. Mi sembrava di essere stato aiutato da un angelo.
Poco lontano i proprietari dell'albergo, cinesi, erano seduti a giocare a mahjong. Solo loro erano ancora svegli, il bar era chiuso e i turisti erano andati a dormire.
Daniel era sparito, non sapevo dove fosse andato, ma mi ricordai che in quel paese un nero può parlare ad un cinese solo se interpellato. Così a quel punto sapevo che avrei dovuto chiedere aiuto da solo.
Feci loro vedere il mio braccio gonfio, e chiesi di essere accompagnato all'ospedale perché ero stato colpito da cinque meduse. Uno di loro si alzò e mi rispose: "Ragazzo bianco, l'eroina non ti fa bene."
Pensavano che mi fossi iniettato qualcosa.
Avrei voluto reagire, ma rimasi seduto frustrato, cercando di mantenermi calmo per non far diffondere il veleno in tutto il corpo. Cominciai a tremare colpito da violenti spasmi muscolari che mi facevano scivolare dalla sedia. I cinesi vennero verso di me per tenermi fermo. Poi un freddo glaciale cominciò a diffondersi nel mio corpo fin nella colonna vertebrale.
Gli uomini mi coprirono con delle coperte. Uno di loro cercò anche di farmi bere del latte come antiveleno.
Vedendo la loro macchina parcheggiata, li implorai di portarmi all'ospedale, ma risposero che dovevo aspettare l'ambulanza.
Fu a quel punto che questa arrivò a sirene spiegate e con tutte le luci accese.
Anche il mio amico Daniel apparve fuori dal nulla e mi resi allora conto che era stato lui a chiamarla.
Mi presero a bordo e, invertita la marcia, iniziò la corsa verso l'ospedale.
L'ambulanza era in realtà una Renault 4 alla quale avevano tolto un sedile, sostituendolo con una barella da campo.
Eccomi qua, alla fine ce l'avevo fatta. Cercavo disperatamente di non chiudere gli occhi. Se solo fossi riuscito a rimanere sveglio fino all'ospedale...

IL PADRE NOSTRO
'Padre nostro Che sei nei cieli
Sia santificato il Tuo nome
Venga il Tuo Regno
Sia fatta la Tua volontà come in cielo,
Così in terra
Dacci anche oggi il nostro pane quotidiano
E rimetti a noi i nostri debiti come noi li Rimettiamo ai nostri debitori
Non ci indurre in tentazione,
Ma liberaci dal male
Poiché Tuo è il Regno, Tua la potenza e la Gloria nei secoli dei secoli, amen'.
(Matteo 6:9-13).
A circa metà strada dall'ospedale, l'auto stava risalendo una collina.
I miei piedi sobbalzavano e sentivo delle ondate di veleno arrivare al cervello.
Iniziai a vedere l'immagine di un ragazzino biondo. Poi ne arrivò un'altra, stavolta il bambino era leggermente cresciuto.
Improvvisamente realizzai che quelle visioni, erano flash della mia vita.
Era un'esperienza molto forte. Avevo sentito già parlare di questo; molti dicono che poco prima di morire, la propria vita scorre come in un film davanti agli occhi.
Potevo sentire a malapena il battito del mio cuore e i pensieri iniziavano a rincorrersi: ero troppo giovane per morire.
Perché ero uscito per l'immersione? Cosa sarebbe successo se fossi morto?
Dove sarei andato?
Ebbi allora un'immagine vivida di mia madre. Sembrava ripetere quelle stesse parole che aveva pronunciate anni prima: "Ian, non importa quanto lontano da Dio tu sia o cosa hai fatto di sbagliato: grida a Lui dal tuo cuore, Lui ti ascolterà e perdonerà!".
Più tardi, ritornato in Nuova Zelanda parlai con mia madre; lei mi disse che nello stesso momento in cui io ero in ambulanza, si era svegliata nel sonno. Il Signore le aveva fatto vedere un'immagine dei miei occhi pieni di sangue e le aveva detto: "Tuo figlio maggiore Ian è quasi morto. Prega per lui.".
Avrei pregato anche io? C'è una preghiera per chi è in punto di morte? Da bambino, mia madre mi aveva insegnato il 'Padre Nostro'. Iniziai a recitarlo, ma non ricordavo niente, perché il veleno, arrivato alla mente, inibiva la mia capacità di pensare e di pregare. Avevo confidato così tanto nelle sua capacità e ora stava morendo. Era un vuoto totale, zero. Era terrificante.
Mi ricordai che mia madre diceva che non si deve pregare con la mente, ma con il cuore. Così dissi: "Dio, ti voglio pregare, aiutami." Improvvisamente le parole della preghiera iniziarono ad uscire direttamente dal mio spirito. Pregai: "Rimetti a noi i nostri debiti - e continuai- ma Signore, ho fatto così tante cose sbagliate! Per favore, perdona i miei peccati." Ero sincero. Volevo pulire la fedina penale. Venne allora da dentro un'altra parte della preghiera: "Come noi li rimettiamo ai nostri debitori…". Capii che dovevo perdonare quelli che mi avevano fatto dei torti. Pensai: "Io di solito non mi offendo facilmente.
Ci sono un bel po' di persone che mi hanno pugnalato alla schiena e hanno parlato male di me, le perdono."
Sentii di seguito la voce di Dio che diceva: "Perdonerai il tassista indiano che ti ha spinto fuori dal taxi e il cinese che non ti ha portato all'ospedale?" Risposi: "Scherzi? Vorrei far loro qualcos'altro!". Come risultato di questa mia reazione, nessun'altra parte della preghiera usciva più dal mio intimo. Sapevo che ero con le spalle al muro. Così dissi tra me: "Va bene, li perdonerò. Se Tu puoi perdonare me, anche io perdonerò. Non metterò mai mani addosso a loro." Continuai: "Sia fatta la Tua volontà… Dio, - dissi - non conosco quale sia la Tua volontà, ma so che compiere cose sbagliate va contro di essa.
Comunque, se mai uscirò da questa situazione, cercherò la Tua volontà nella mia vita e ti seguirò con tutto il cuore." Al momento non lo capii, ma quella fu la mia preghiera per ricevere la salvezza, preghiera uscita non dalla mente, ma dal cuore.
Una incredibile pace mi pervase.
Tutte le paure si dileguarono.
Ero ancora sul punto di morte, ma in pace. Mi ero riappacificato con il mio Dio. Potevo sentirLo parlare.
Nessun altro all'infuori di Lui avrebbe mai potuto suggerirmi il 'Padre Nostro' e io lo sapevo. Quella preghiera fu il cardine di tutto ciò che mi successe subito dopo.

IL SOLLIEVO FINALE
'Entrate per la porta stretta, poiché larga è la porta e spaziosa è la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa. Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita! E pochi sono quelli che la trovano.'
(Matteo 7:13,14).
L'ambulanza arrivò all'ospedale.
L'autista mi adagiò su una sedia a rotelle e mi spinse velocemente nell'area di emergenza. Mi misurarono la pressione.
L'infermiera guardò lo strumento e poi lo colpì. Pensai: "In che tipo di ospedale mi trovo?" Era un vecchia costruzione della seconda guerra mondiale, costruita dai britannici e in seguito lasciato ai creoli. Sembrava di essere ancora nel 1945: tutto era sporco e decrepito.
L'infermiera colpì nuovamente il manometro. Il problema non era lo strumento: il mio cuore non pompava. Tolto il bracciale, cercò un altro strumento nel cassetto. Ripetè l'operazione, ma niente era cambiato. Mi guardò, io avevo gli occhi spalancati. Con quella pressione, i miei occhi dovevano essere chiusi. Cercavo disperatamente di resistere a tutti i costi. Mi stavo aggrappando alla vita con tutte le mie forze. A quel punto l'autista, capendo che la situazione era tragica, mi tolse il bracciale e di corsa mi portò in sala medica, dove due dottori erano seduti mezzo addormentati. Il più giovane iniziò a rivolgermi le domande di rito senza neanche guardarmi: "Chi sei, dove vivi, quanti anni hai?" Diressi lo sguardo verso il più anziano, sperando che si volgesse a guardarmi. Quando lo fece, con tutta la forza che potevo trovare, gli bisbigliai che stavo per morire e che avevo bisogno di anti-tossina. Fu allora che, spinto da una parte l'autista, mi condusse a gran velocità lungo il corridoio.
Lui continuava a gridare qualcosa, ma io non riuscivo a decifrare nessuna delle sua parole. Entrammo in una stanza piena di bottiglie ed equipaggiamenti medici. Un minuto dopo ero circondato da dottori, infermieri e inservienti. Alla fine, qualcosa succedeva! Un'infermiera mi mise una flebo. Il dottore mi disse: "Non so se riesci a sentirmi, figliolo, ma stiamo cercando di salvarti la vita; mantieni gli occhi aperti e combatti il veleno più che puoi." Tentarono di iniettarmi l'antitossina, ma il problema era trovare la vena in quanto la pressione estremamente bassa e il gonfiore dei tessuti non permettevano di evidenziarla. Quando alla fine la trovarono e iniettarono il liquido, la vena si gonfiò come un palloncino perché il sangue non circolava. Cominciai a scivolare in uno stato comatoso. Ero totalmente paralizzato, incapace di parlare; il mio cuore batteva molto fievolmente e mi sentivo come se stessi scivolando via; tuttavia riuscivo a sentire tutto ciò che veniva detto di me e intorno a me. Non sapevo niente della medusa a scatola e che sulla spiaggia di Darwin, negli ultimi 20 anni, erano morte sessanta persone a causa di questo animale. Una sola puntura di questo tipo di meduse, può uccidere un uomo in 15 minuti.
Ero adagiato su un lettino. Il liquido che ora entrava nel mio corpo attraverso la flebo, faceva sì che io iniziassi a sudare. Le gocce di sudore scivolavano negli occhi e il medico inizialmente le asciugava con un panno. Si allontanò poco dopo per fare qualcosa e non ritornò. Speravo che tornasse, perché il sudore negli occhi bruciava e appannava la visione. Provai a chiamarlo, ma dalla mia bocca non uscivano suoni. Cercai di girare la testa, ma non ci riuscii.
Iniziai a sbattere le palpebre nel tentativo di espellere il sudore dagli occhi. Continuai a fare così, finché, ad un certo punto, ebbi un sospiro di sollievo: sentii che qualche cosa era successa.

IL BUIO
'La luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno amato le tenebre più della luce.' (Giovanni 3:19).
'Molti… saranno gettati nelle tenebre di fuori. Là ci sarà pianto e stridore di denti.' (Matteo 8:12).
Improvvisamente avevo sentito sollievo, la battaglia per rimanere in vita sembrava finita. Nessuno mi aveva detto che ero morto. Infatti, non lo sapevo. Tutto ciò che riuscivo a capire era che non lottavo più per mantenere gli occhi aperti.
Non era stato come chiudere gli occhi per dormire. Sapevo di essere andato da qualche parte. Durante i venti minuti precedenti avevo avuto la sensazione di fluttuare nell'aria, poi, chiusi gli occhi, non fluttuavo più: ero andato.
La Bibbia dice in Ecclesiaste che, quando un uomo muore, il suo spirito ritorna a Dio, Che glielo ha dato e il corpo ritorna alla polvere da dove proviene. Bene, io sapevo che il mio spirito era andato da qualche parte, ma non sapevo di essere morto. Ero arrivato in un luogo molto vasto, come una sala enorme e cavernosa con un buio pesto.
Ero in piedi. Iniziai a cercare l'interruttore della luce. Ma non riuscivo a trovarlo. Perché il dottore aveva spento le luci? Cercavo di toccare qualcosa, ma non trovavo niente. Mi resi conto che non riuscivo a trovare neanche il mio letto. Mi muovevo, ma non inciampavo in niente. Non vedevo nemmeno la mano che mi ero portato davanti al volto. Faceva estremamente freddo. Aguzzai la vista per capire dove fossi; cercavo di orientarmi in questo nuovo ambiente. Alzai la mano cercando di toccarmi il viso, ma questa passò senza trovare niente. Fu un'esperienza terrificante.
Allora mi resi conto di essere senza un corpo fisico, tuttavia ero ancora me stesso. Sentivo di avere un corpo, ma non potevo toccarlo. Ero un essere spirituale; il mio fisico era morto, eppure, mi sentivo vivo, cosciente di avere ancora braccia, gambe e testa, ma non riuscivo a toccarle.
"Dove sono?" Pensai. Mentre mi trovavo in quel buio, un incredibile freddo e pericolo incombevano su di me. Mi sentivo osservato da presenze malvagie che mi circondavano.
Io non parlavo a voce alta, ma loro, come se leggessero i miei pensieri, iniziarono a gridarmi: "Fai silenzio!"
Mi scostai e qualcun altro urlò: "Meriti di essere qui!" Alzai le braccia quasi per proteggermi e pensai: "Dove sono?" "Sei all'inferno!- Mi rispose una voce - adesso fai silenzio." Ero terrificato, avevo paura di muovermi e di respirare: forse meritavo proprio di essere lì.
A volte le persone hanno una strana immagine dell'inferno. Io ero solito pensare ad esso come ad un luogo dove si possono fare tutte quelle cose che non si dovrebbero fare sulla terra. Questo è molto lontano dalla realtà. Non mi ero mai trovato in un luogo così spaventoso. Le persone lì non possono fare niente di ciò che i loro cuori malvagi vorrebbero e non ci si può gloriare della propria malvagità.
In quel luogo non c'è nessuna relazione con il tempo. Nessuno sa che ora è, né da quanto tempo si trova là: dieci minuti, dieci anni o forse diecimila.
La Bibbia dice che ci sono due Regni: il Regno delle Tenebre, che è governato da Satana e il Regno della Luce.
Il libro di Giuda dice che il luogo delle tenebre fu preparato non per le persone, ma per gli angeli che disobbedirono a Dio.
Non augurerei nemmeno al mio peggiore nemico, di trovarsi in un posto simile.
Non avevo idea di come poterne uscire. Avevo pregato e chiesto a Dio di perdonarmi prima di morire. Perché ero finito qui?
Gridai di nuovo a Lui interiormente: "Perché sono qui? Ti ho chiesto di perdonarmi, Ti ho dato il mio cuore, perché sono finito qui?".
Improvvisamente un bagliore mi illuminò e, mentre mi avvolgeva, mi risucchiava fuori dal buio. Questa luce mi infondeva un senso di leggerezza e venni innalzato dal suolo come un granello di polvere in un raggio di sole.

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